domenica 11 settembre 2011

Alla Fiera del Nord Est

L'importante è esagerare.
Il maestro è Massimo Carlotto, lo si capisce subito, e poi l'Autore alla fine lo cita e lo ringrazia, ma dopo che di questo nuovo Veneto così rosso di sangue sono state raccontate tutte le storie possibili e immaginabili - tanto che il Carlotto stesso è passato ad occuparsi della Sardegna - Matteo Strukul si ispira anche a Quentin Tarantino e ci mette in scena una Uma Thurman dei Sette Comuni che impugna pistole, fucili e una affilatissima katana per ammazzare criminali autoctoni e cinesi immigrati, non senza indossare occhiali con microcamera incorporata per documentare le sue imprese ed arricchire il curriculum.
Che poi dietro ci sia la voglia di vendetta della protagonista, ci conforta ancora di più nella nostra ricerca delle fonti.
Tra uno spritz e due mani tagliate di netto, un enorme piatto di trippa e una manciata di killer cinesi sanguinari ma non proprio sveglissimi, teste che rotolano, archeologia industriale della Bassa e pareti di casa ritinteggiate con il sangue degli inquilini, il pulp è servito, e si legge con piacere.
E piace anche la fame di rispettabilità dei due capibanda, il veneto ed il cinese, che mischiano - gran tocco di verità e credibilità - affari leciti e sporchi, associazioni per delinquere e di piccoli industriali, riciclaggio e volontariato.

venerdì 2 settembre 2011

Cos'è che fa andare la filanda


Questo signore si vende l'azienda di famiglia alla periferia di Prato (indovinate cosa produce), aggiunge la letteratura americana da Francis Scott Fitzgerald a David Foster Wallace, una spruzzata di globalizzazione, una scorza di sociologia e vince il premio Strega: niente male. Ai giurati, insomma, piacciono le storie di questo tipo, anche se non c'è proprio paragone con il respiro dello Strega 2010 (ed anche con il modo di raccontarla, per carità, Pennacchi è un'altra cosa).
Sia chiaro, ci sono anche cosette originali, visto che prima che con i cinesi ce l'ha con i romeni che guadagnano troppo poco. Poi se la prende con le star della moda, che vogliono pagare poco le stoffe che produce e rivendono i vestiti a dieci volte tanto (guarda che si chiama mercato, se fai l'imprenditore dovresti sapere di cosa stai parlando) e che se non risparmiamo abbastanza comprano all'estero (anche questo si chiama mercato, lasciamo perdere).
E ce n'è anche per gli ex colleghi che non vendono l'azienda ed accettano le "aste" al ribasso dei clienti invece di fare cartello (infatti non si potrebbe fare, hai presente?) appellandosi alla qualità.
E alla fine, quando ormai disperavo, eccolo lì che racconta dei cinesi di Prato, nei capannoni dismessi da quelli che, come lui, non hanno più voluto fare gli imprenditori (un altro lavoro che gli italiani non vogliono più fare?), che ci lavorano, ci mangiano e ci dormono: insomma, i cinesi sono gli italiani del nuovo millennio, e forse per questo non li detesta tanto.
Ultima notazione: dice che gli imprenditori di Prato - almeno quelli rimasti - sono dei vecchi liberali: non lui, perché si scaglia contro l'apertura dei mercati ed invoca tariffe e vincoli doganali. Non ci sono più i liberali di una volta.
No, non vi racconto come va a finire, io me lo sono cuccato fino in fondo e adesso tocca a voi.