giovedì 18 agosto 2011

Com'è profondo il mar


Diciamo che ho letto Moby Dick: piaciuta la citazione?
Il romanzo americano per antonomasia, a quanto pare, e mi sono perso nel gioco di racconti e divagazioni (mi è parso di trovare anche una citazione del Manoscritto di Saragozza, letto tanto tempo fa e che dovrei riprendere e capire). Mi chiedo quale possa essere la chiave di lettura giusta, quando arrivo alle ultime righe, con la voce narrante che racconta come fu salvato dalla "Rachele", la baleniera che cercava l'equipaggio di una lancia perduta, e non mi rispondo.
Ovviamente la caccia alla balena è la metafora di qualcosa, così come l'ossessione del capitano Achab lo è di qualche altra, così come la finta erudizione delle descrizioni dei cetacei rimanda a qualche cosa ancora - forse i ponderosi tomi del diciannovesimo secolo?
In ogni caso, lettura godibilissima; una cosa comunque mi è sembrato di capire, e che il Pequod è una metafora della nascente America che ancora cercava un posto nel mondo, con il suo equipaggio multietnico arrivato da chissà dove. Tra l'altro, ho verificato che Presidente ddegli Stati Uniti, all'epoca in cui Melville scriveva, erano (almeno per me) degli illustri sconosciuti: James Knox Polk (1845-1849), Zachary Taylor (1849-1850) e Millard Fillmore (1850-1853).
Chissà chi di loro, se la mia lettura è giusta, stava portando il Paese alla rovina.

mercoledì 10 agosto 2011

Durissima cocta


Vive in una specie di topaia al sesto piano senza acqua corrente, ama la figlia di un senatore e si muove nella Roma dei Flavi sulle tracce di adulteri o di figlie scappate di casa, affrontando gladiatori e lancieri traci a mani nude (e prendendole sempre), il tutto per qualche sesterzio al giorno più le spese.
E' un Philip Marlowe del finire del primo secolo dell'era volgare, e si chiama Marco Didio Falco, creato da Lindsey Davis, scrittrice inglese che nell'antica Roma ha trovato l'America. Unica concessione al familismo romano, Falco, al contrario dei suoi epigoni sulla Costa Occidentale, ha una famiglia ampia ed in buona parte invadente, a cominciare dalla madre.
In questo romanzo è anche presente il padre che molto modernamente era scappato di casa con una ragazza dai capelli rossi, ed il fantasma del fratello, caduto da eroe durante la guerra giudaica; per seguire il libro, comunque, non c'è bisogno di rileggersi Flavio Giuseppe, visto che si tratta di trovare una statua greca la cui vendita avrebbe consentito all'eroe ed ai suoi colleghi legionari di arricchirsi.
Come in tutti gli scrittori di scuola anglosassone, impeccabile ricostruzione storica e d'ambiente, per quel che posso giudicare, ottima padronanza del mestiere - Falco si racconta in prima persona e sembra davvero, qualche volta, di sentire Sam Spade - ed interessante l'assunto di partenza, ovvero del cittadino libero, di fede repubblicana, che deve mettere insieme quattrocentomila sesterzi per diventare cavaliere (no, i cavalli non costano così tanto) per poter sposare la sua amata, di classe sociale tanto più elevata della sua.
Tra la Città Eterna, le altre località italiche e puntate anche nelle propaggini più sperdute dell'Impero, le storie, e sono tante, scorrono veloci e gradevoli.
Buon divertimento.

sabato 6 agosto 2011

Il battito delle ali


Allora: vampiri, animali mannari (lupi e non solo), mostri di ogni genere, ed una ragazza che per sua ammissione porta la 44 ed è alta più o meno un metro e mezzo, ammazza i vampiri ed ha un rapporto complicato con un vampiro ed un lupo mannaro: non riesco ad immeginare la sua pagina facebook.
Insomma, ho letto uno dei libri del ciclo di Anita Blake, la sterminatrice, che è andata via dal Midwest e si trova nel Nuovo Messico, alle prese con i miti aztechi (anche se si dovrebbe dire mexica) ed altri avversari in carne ed ossa, che fanno comunque la stessa brutta fine.
Attenzione, se il sangue vi disturba lasciate perdere, anche perrché la farfalla del titolo è Itzpapalotl (mi pare si scriva così), ovvero Farfalla di Ossidiana. Molto poetico, ma è il nome della dea mexica che personificava il coltello con il quale i sacerdoti mesoamericani sventravano le vittime per offrirne il cuore alle divinità del loro Pantheon.
La signora Hamilton scrive quasi più in fretta di quanto io riesca a leggere, per la verità, e man mano che va avanti piazza nuove trappole per il lettore: qui c'è una scena di sesso omosessuale maschile non consenziente esplicito, ma siccome si tratta di vampiri c'è anche molto sangue che scorre - sì, proprio da lì, deve fare male; scorrendo in libreria l'ultimo, ho trovato ancora qualche ulteriore passo avanti.
E poi c'è la violenza, visto che la signorina va in giro con un arsenale che neanche un assaltatore della Col Moschin, e lo sa usare, e si circonda di colleghi molto poco raccomandabili.
Insomma, rischia di prendervi, quindi andate in libreria con una testa d'aglio in tasca.

Coriolano della Floresta - Luigi Natoli

Ho terminato la lettura di Coriolano della Floresta proprio ieri sera. Più di mille pagine in cui si racconta il seguito de I Beati Paoli attraverso le vicissitudini degli eredi di Blasco, diventato Duca della Motta, e di Coriolano della Floresta, che assume lo pseudonimo di Fra' Benedetto. Le vicende sono avvincenti e la trama è molto bella, forse più dei Beati Paoli. Peccato che, anche in questo caso, Natoli si dilunghi troppo in descrizioni di personaggi poco influenti e in ripetizioni, quasi ossessive, degli stati d'animo dei personaggi principali. Il meno simpatico: Blasco Oxorio, nipote di Blasco della Motta e malvagio come il suo avo Don Raimondo, il quale porterà fino alle fine dei suoi giorni i segni indelebili della sua cattiveria. I personaggi più simpatici: la piccola Virginia, pronipote di Coriolano e Blasco della Motta. Commovente la descrizione della morte di Fra' Benedetto.

martedì 2 agosto 2011

In buona compagnia


Mai letto "I Tre Moschettieri" da ragazzo, mi sono rifatto da grande, e li ho amati fin dalle prime righe di una vecchia traduzione che in qualche modo rispetta - almeno credo - lo stile di Dumas.
Tra l'altro mi risulta che un nugolo di insospettabili intellettuali (tra cui anche Umberto Eco e Arturo Perez Reverte) abbia fondato un cenacolo di lettura, rilettura e drammatizzazione delle avventure dei quattro amici dei tempi di Luigi XIII e del cardinale Richelieu.
Sembra un mattone, ma scorre veloce, a mezzo tra romanzo di formazione e storia picaresca, nonostante il gran spreco di cappe (e spade), mantelle e simili accessori.
Alcune pagine sono veramente raffinate, come le avventure di Milady imprigionata dal cognato e liberata da un cretino, anche se al nostro gusto moderno (e anche per le richieste di editori e produttori) la fine del male incarnato nella persona di Anna di Breuil - Lady Clarick non va proprio giù, visto che il male è ben lungi dall'essere stato cacciato dalla faccia della terra.
Aggiungerei, per concludere, che c'è anche più sesso di quello che si potrebbe immaginare, e la notte dell'inganno che Milady passa con D'Artagnan credendolo il conte di Wardes arriva direttamente dal Boccaccio (che dire, poi, dei tormenti della camerierina che dietro la porta ascolta le effusioni della coppia e muore di gelosia?) e ricorda il dialogo fra Nino Manfredi e Claudia Cardinale ne "Nell'anno del Signore", quando lui chiede a lei se era molto buio quando si è sbagliata.