venerdì 30 dicembre 2011

Per tutte le stagioni


Non amo i racconti, per la verità, ma non riesco a stare troppo tempo senza di Lui.  E quindi, dopo averci pensato un po’ su, l’avevo poi comprato, questo Stephen King, quattro racconti di cui i primi due veramente lunghi, quasi romanzi brevi, con la caratteristica di dare ampio spazio alle figure femminili, protagoniste e vittime, a volte contemporaneamente. 
Oltre a questo, e come al solito, King scava benissimo nei nostri tabù, ma siccome sono storie “de paura” mi guardo bene dal raccontarvi qualcosa di più, a parte l'invito a leggerlo, se non l'avete già fatto.  Con un suggerimento: cominciate dall'ultimo, e poi proseguite a ritroso, visto che il primo ed il secondo sono indubbiamente i migliori. 
Ovviamente resta solo poco da dire, anzi molto: grande lettura, grandi storie, grande ritmo, e qualche autocitazione: kinghiani, cosa vi dice Hemingford Home, Nebraska?

martedì 27 dicembre 2011

Anche gli angeli mangiano cannoli

E' un altro Camilleri senza.  Posso dirlo? Da qualche tempo a questa parte, Camilleri senza Montalbano è addirittura meglio, forse il commissario impersonato da Luca Zingaretti è arrivato in fondo alla sua parabola, forse il Maestro si è stancato di scrivere gialli senza sangue, o forse, ancora, la ricerca delle radici in una Sicilia passata (inizio del secolo scorso) che non passa mai lo stimola senza di più.
Voglio dire, qui ci sono i preti non proprio raccomandabili, i nobili ed i borghesi che seguono il vento meglio che in Coppa America, un ufficiale dei Carabinieri che assomiglia tanto a Carlo Alberto Dalla Chiesa (ma finisce meglio, non vi preoccupate) e, ovviamente, la mafia.
E c'è un giornalista che, non fosse perché adesso è su tutti i giornali, ricorda un po' Giorgio Bocca.
No, non vi racconto la storia, anche perché la rovinerei, e comunque non vi preoccupate anche se siete nordici: il siciliano scritto è comprensibilissimo, ormai dovreste averci fatto l'abitudine.
Una buona notizia, per concludere: per la Befana aspettiamo una nuova raccolta di racconti, ed a primavera un nuovo romanzo.  Hasta Camilleri siempre.

domenica 18 dicembre 2011

Vai all'est, giovanotto


Gli inglesi di una volta studiavano latino e greco ancora più degli italiani e no, non chiedetemi come li pronunciassero, preferisco non pensarci.
Robert Graves era appunto un inglese di una volta, insomma un vittoriano o un edoardiano (visto che era nato del 1895), e aveva la materia sulla punta delle dita: accanto ai testi per dir così tecnici,  poi, si divertiva a scrivere solidissimi romanzi storici, che dai saggi differivano solo per l'aggiunta dei dialoghi, mentre le vicende raccontate erano tutte perfettamente vere; qualcuno avrà letto i due libri sull'imperatore Claudio, magari, che rimangono affascinanti.
Qui compie un ulteriore passo indietro lungo il tempo e ci porta nella Grecia della generazione antecedente alla guerra di Troia per raccontarci l'avventura degli Argonauti alla caccia del Vello d'Oro e con l'occasione rende anche giustizia agli abitanti di quella terra che subirono l'invasione degli Achei, immergendoci nella società mediterranea della prima età del bronzo, che era matriarcale come le statuette delle Madri mediterranee in qualche modo lasciano sospettare: questo link che vi ho proposto è pieno di dubbi, ma non credo che gli archeologi si aspettino di poter intervistare una qualche sacerdotessa del culto.
La storia del Vello d'Oro è anche la storia di un amore un po' così, tra l'altro, quello di Giasone e Medea, e di una società in cui tutti credono in tanti dei e, in fondo, non sono rose e fiori: anche allora la religione era un instrumentum regni, soltanto che l'intervento delle varie divinità era molto più penetrante e aggiungerei anche più efficace.
Nonostante il tempo trascorso (dalla pubblicazione del libro, non dall'avventura degli Argonauti, cosa avete capito), direi che si legge molto bene: la mia traduzione fa un po' il verso a quello che poteva essere un  periodare arcaico, e neanche questo guasta.


mercoledì 14 dicembre 2011

Like a BRIC in the wall

D'accordo, è un saggio e non un romanzo, ma si legge scorrevolmente.  Stephen Armstrong è un giornalista britannico (e che altro?),  e comincia con il raccontarci degli oligarchi russi, certamente i più spettacolari, poi degli industriali indiani venuti dritti dalla decolonizzazione a ricomprarsi l'industria inglese, dei nuovi miliardari cinesi, certamente i capitalisti più inquietanti ed infine dei rampanti brasiliani.
Sono i padroni dei BRIC, l'acronimo creato da qualche economista di talento per indicare le potenze emergenti del nuovo millennio, dove c'è un profondo deficit di democrazia e di equilibrio nella ripartizione delle risorse, ma non di soldi.
E noi dell'Occidente evoluto? Bene, non è il caso di essere troppo tranquilli, non solo perché i russi ci vendono il gas per scaldarci, gli indiani si comprano le industrie pesanti in giro per il mondo ed i cinesi a furia di venderci magliette e di costruire telefonini e computer su licenza hanno fatto tanti soldi da essere i primi creditori degli USA; non è il caso visto che anche nelle più antiche e solide democrazie occidentali si preannuncia un deficit di democrazia, semplicemente perché anche qui da noi c'è un complesso imprenditoriale e finanziario così ricco ed influente da essersi, di fatto, sostituito ai governi, con la scusa della crisi economica.
Il signor Armstrong considera l'Italia giustamente irrilevante, quindi tace del corto circuito tra soldi e politica che noi sperimentiamo da venti anni: britannici e statunitensi non sanno a xcosa vanno incontro, noi italiani ce ne siamo fatti un'idea.    

domenica 4 dicembre 2011

Tradirsi un po'

Quando gli scrittori inglesi si cimentano con la grande epopea della Seconda Guerra Mondiale, sconfitta trionfale per il loro Paese che vinse la guerra e perse la pace, cioè l'Impero, possono scrivere cose meravigliose o orribili, e non conta quanto siano bravi.
Ve ne avevo già parlato qui, ricordate?
Robert Harris è bravo ed era molto atteso: Enigma è stata la sua opera seconda, e secondo me non ha deluso, perché sullo sfondo di una puntigliosa ricostruzione storica e della grande tragedia collettiva mette in scena la tragedia individuale dello scienziato più che pazzo fragile, certamente non pronto ad affrontare le tensioni private come sopporta invece le difficoltà pubbliche, tipo l'arrosto di balena servito alla mensa.
Bella quindi l'Inghilterra al quarto inverno di guerra, buia, affamata, infreddolita e sporca (fatevi raccontare dai genitori o dai nonni com'era l'Italia a quei tempi, per favore) a confronto con i ricchi cugini Yankee che hanno tutto ma devono fare attraversare a questo "tutto", che vuol dire benzina, bistecche, latte in polvere e carri armati, l'Atlantico settentrionale tra maltempo e sommergibili tedeschi, e bello il tormento d'amore di un uomo che non era pronto ad innamorarsi.
E dietro tutto questo un complicato intrigo di spionaggio che porta all'Europa orientale. 

martedì 22 novembre 2011

La piccola guerra

Dopo Caporetto scapparono anche i civili della pianura veneta, non solo i soldati.  Non tutti, alcuni restarono a casa e si trovare austriaci e prussiani in casa (sì, c'erano anche i prussiani, a cominciare da un certo Rommel, che all'epoca maturò la sua disistima per gli italiani). Proprio lì, a sud del Grappa e ad est del Piave è ambientato un romanzo di formazione piuttosto particolare.
Ha vinto un Campiello Andrea Molesini, con "Non tutti i bastardi sono di Vienna", educazione politica, militare e sentimentale di un diciottenne (o quasi) nel freddissimo inverno 1917/'18, tra occupanti  rigorosamente divisi  per censo con ufficiali austriaci e tedeschi che sono citazioni dei nobili educati, poliglotti  e cattivissimi dei film sulla Grande Guerra e soldati che arrivavano dai quattro angoli della Duplice Monarchia, contadini per i quali un padrone ne vale un altro ma anche no, il parroco che fornisce anche, con una sua battuta, il titolo del libro, la sua famiglia ricca e la pletora di domestici e l'immancabile parente un po' strana che guida l'eroe anche nei meandri del sesso adolescenziale.
Altra citazione, dal Vercors questa volta, per la reazione della padrona di casa, ed anche qualcosa da "La grande illusione" (avevamo parlato degli ufficiali austriaci, più o meno nobili).
Buono, si legge d'un fiato o quasi, visto che c'è anche la necessaria parte di tensione, ma ad un certo punto sembra che si infili in un vicolo cieco e infatti deve risolversi con un finale poco credibile.  
Insomma, sono ragazzi e devono ancora imparare il mestiere, ma decisamente si impegna.

domenica 20 novembre 2011

November morning

Finalmente è arrivato, dopo la dose di metadone costituita da quattro racconti lunghi pubblicati l'anno scorso: è il nuovo Stephen King, molto ma molto ambizioso. Quasi una ucronia, ovvero l'uomo che scopre il modo di andare nel passato e salvare Kennedy, quel mattino di novembre a Dallas.
King ama gli anni '50 e '60 come si vivevano negli USA, e da bravo raccontatore di storie pesca nel suo archivio e richiama alle armi il "Club dei Perdenti" di It, per una comparsata di Beverly Marsh e di Richie Tozier, oltre ad un cameo del perfido signor Keene, il farmacista di Derry (ricordate l'inalatore di Eddie Kapsbrak?).
L'attentato è avvenuto-dovrà avvenire-avverrà (insomma, dentro libri così i tempi dei verbi sono una scommessa) a Dallas, quindi dopo un po' basta con il nord est, ed avanti con il Texas di cinquant'anni fa: non sono abbastanza ferrato in storia americana contemporanea, e non posso dare un giudizio sull'accuratezza della ricostruzione, che è comunque affascinante.
Poi, naturalmente c'è la storia, che è una storia alla King, con i suoi momenti di paura ed i colpi di scena; chi  apprezza il genere (quorum ego) non può mancare all'appuntamento.
Ovviamente, come dice il nostro, da leggere di notte, al buio.

venerdì 4 novembre 2011

Un metodo pericoloso


Gianrico Carofiglio era stufo dell'avvocato pugliese che difende gli innocenti ma anche i colpevoli, ma Elvira Sellerio lo aveva convinto a continuare.
Adesso Elvira non c'è più ed ecco un altro motivo per sentirne la mancanza, visto che Carofiglio ha cambiato editore ed ha cambiato genere: ci racconta del carabiniere in crisi esistenziale che a furia di correre dietro ai delinquenti è andato fuori di zucca, è stato collocato in malattia e va dallo strizzacervelli, uno bravo visto che è capace di trovare qualcosa da strizzare nella testa di un caramba.
Un giorno di pioggia incontra per caso un'altra paziente dello stesso strizzacervelli, quasi se ne innamora ma siccome è fuori non capisce neanche bene se se ne innamora proprio o cosa, e poi ...
No, non ve lo racconto, leggetevi questa porcheria se volete sapere come va a finire, io intanto sul pugliese più famoso dopo Cassano (ma prima di Vendola) ci faccio una bella croce.

giovedì 20 ottobre 2011

Essere o non essere comunisti?

Conosciamo Arkady Renko, investigatore della polizia di Mosca, da prima che cadessero il Muro ed il comunismo, e come era a disagio all'epoca di Andropov e di Cernenko è ancora a disagio con la demokratura di Putin.
In una Mosca allucinata, tra oligarchi, criminali ripuliti e veterani delle guerre in Cecenia, continua a non riuscire ad andare d'accordo con i pubblici ministeri ed a tenersi una donna; si fa anche sparare in fronte e ne esce vivo, forse a dimostrazione che in un poliziotto degno di questo nome la testa è decisamente la parte più dura del corpo, e partecipa ad uno strano rito in una città di provincia, lì dove all'inizio dell'inverno del 1941 l'Armata Rossa fermò l'avanzata tedesca.
Tutto perché Stalin, proprio il piccolo Padre, in fondo sempre al centro dei pensieri dei russi , forse compare, o forse no, sulla banchina di una stazione del metrò di Mosca dal nome impronunciabile.
In realtà, come in tutte le sue avventure, più che la preda conta la caccia: in realtà qui non si capisce neanche bene quale sia il crimine da cui tutto parte, ma si vedono bene tutti gli altri.  Cosa ancora più importante, qui vengono fuori anche gli antefatti che spiegano l'irrisolto rapporto con il padre, generale, eroe e macellaio all'ingrosso durante la Grande Guerra Patriottica, e amico di Stalin.
Sì, ancora, si ritorna sempre lì: ma questo libro vale proprio la pena di leggerlo.

mercoledì 19 ottobre 2011

Novecento, atto II Bis


Insomma, chissà cosa mi aspettavo.  Valerio Massimo Manfredi ci ha spesso deliziati con le sue storie dell'epoca classica, dalla guerra di Troia a quella greco-persiana all'Anabasi rivista attraverso gli occhi di una contadina che diventa l'amante di Senofonte.
E adesso prova a raccontarci una saga contemporanea di una famiglia contadina tra Modena e Bologna: sì, esatto, sembra anche a me che una storia del genere ce la abbiano già raccontata.  Si va dalla vigilia della Grande Guerra alla fine della Seconda Guerra Mondiale, accompagnando tre generazioni di Bruni (quelli del titolo), mezzadri non proprio morti di fame ed anche abbastanza fortunati, visto che durante la Prima Guerra Mondiale non ne muore nessuno; l'otel, scritto proprio così, è la stalla annessa alla casa colonica che occupano sul terreno loro affidato dove fanno filò.
Più che con gli Austriaci hanno problemi - ovviamente - con il padrone e con i fascisti, e in questo sono abbastanza tradizionali e diversi dai mezzadri fascisti di Canale Mussolini: Manfredi non ha nessuna voglia di vincere un premio Strega, insomma.
Valerio, sient'ammè, ritorna a scrivere di Greci, Persiani e, magari, popoli preromani in Italia, ti riesce molto meglio.

sabato 8 ottobre 2011

Stat mercator pristinum nomen


A volte ritornano, e dopo trent'anni ritorna il nome della rosa, ma non parliamo della nuova edizione dell'opera prima letteraria di Umberto Eco, ma del Mercante di libri maledetti di Marcello Simoni.
C'è proprio tutto: l'ambientazione nel tredicesimo secolo (addirittura cento anni prima), le abbazie, le biblioteche, i messaggi segreti da decifrare, e c'è anche il giovane (ed un po' fesso) amico del protagonista; il giovanotto non si racconta in prima persona, il che sarebbe impossibile in una storia del genere.  A proposito di abbazie, si comincia proprio dalla Sagra di San Michele, sulla strada che da Torino porta alla Francia, che pare abbia ispirato il piemontese Eco nella ideazione della sua insanguinata abbazia, ed è un po' come mettere subito le carte in tavola.
Poi, sono passati trent'anni, quindi c'è molto più sangue, per adeguarsi alla nuova ondata di romanzi neri italini ed europei, e si rinuncia all'aristotelica unità di luogo, visto il dipanarsi della storia tra il Nord-est Italiano fino all'estremo Ovest dell'Europa che è Santiago di Compostella, per concludersi a Venezia nel più tradizionale dei modi possibili.
Poi si nota che alle spalle c'è un minor lavoro di ricerca: l'abate cattivo non può chiamarsi Rainerio da Fidenza perché all'epoca Fidenza non esisteva, esisteva Borgo San Donnino.  Questo lo so anch'io, e chissà che un vero medievista non trovi qualche altro svarione.

domenica 2 ottobre 2011

Donde trovasi Pineta?

Insomma, Franco Malvaldi è nato troppo tardi. Hanno già notato altri che i suoi romanzi sono una meravigliosa interpretazione della miglior commedia all'italiana, ma la sua penna al cinema non serve più, in questi tempi di cinepanettoni.
Allora ci racconta il barista laureato in matematica, il nonno ed i suoi amici ultrasettantenni, il commissario cretino con i poliziotti di provincia (qui c'è un piantone veneto palesemente ricalcato sul carabiniere Stelluti)  e l'universo infinitamente piccolo ed infinitamente grande del paesino toscano che, si suppone, vive di turismo estivo e poco altro.
E c'è non tanto il lavorìo deduttivo di Nero Wolfe o il lavoro di gambe di Montalbano, quanto il lampo di genio acceso da una coincidenza o da un particolare (il particolare è correttamente condiviso con il lettore, tra l'altro, come impogono le regole del giallo).
Insomma, non conta la preda, conta ancora meno la caccia, e invece contano le persone, con i tic e le piccole e grandi manie del protagonista che sembra non godersi pressoché nulla di quello che lo circonda. 
Va bene per una lettura piacevole e veloce, - a me ha tenuto compagnia durante un Firenze/Roma sul Frecciarossa - e non chiedete quello che non può dare.

domenica 11 settembre 2011

Alla Fiera del Nord Est

L'importante è esagerare.
Il maestro è Massimo Carlotto, lo si capisce subito, e poi l'Autore alla fine lo cita e lo ringrazia, ma dopo che di questo nuovo Veneto così rosso di sangue sono state raccontate tutte le storie possibili e immaginabili - tanto che il Carlotto stesso è passato ad occuparsi della Sardegna - Matteo Strukul si ispira anche a Quentin Tarantino e ci mette in scena una Uma Thurman dei Sette Comuni che impugna pistole, fucili e una affilatissima katana per ammazzare criminali autoctoni e cinesi immigrati, non senza indossare occhiali con microcamera incorporata per documentare le sue imprese ed arricchire il curriculum.
Che poi dietro ci sia la voglia di vendetta della protagonista, ci conforta ancora di più nella nostra ricerca delle fonti.
Tra uno spritz e due mani tagliate di netto, un enorme piatto di trippa e una manciata di killer cinesi sanguinari ma non proprio sveglissimi, teste che rotolano, archeologia industriale della Bassa e pareti di casa ritinteggiate con il sangue degli inquilini, il pulp è servito, e si legge con piacere.
E piace anche la fame di rispettabilità dei due capibanda, il veneto ed il cinese, che mischiano - gran tocco di verità e credibilità - affari leciti e sporchi, associazioni per delinquere e di piccoli industriali, riciclaggio e volontariato.

venerdì 2 settembre 2011

Cos'è che fa andare la filanda


Questo signore si vende l'azienda di famiglia alla periferia di Prato (indovinate cosa produce), aggiunge la letteratura americana da Francis Scott Fitzgerald a David Foster Wallace, una spruzzata di globalizzazione, una scorza di sociologia e vince il premio Strega: niente male. Ai giurati, insomma, piacciono le storie di questo tipo, anche se non c'è proprio paragone con il respiro dello Strega 2010 (ed anche con il modo di raccontarla, per carità, Pennacchi è un'altra cosa).
Sia chiaro, ci sono anche cosette originali, visto che prima che con i cinesi ce l'ha con i romeni che guadagnano troppo poco. Poi se la prende con le star della moda, che vogliono pagare poco le stoffe che produce e rivendono i vestiti a dieci volte tanto (guarda che si chiama mercato, se fai l'imprenditore dovresti sapere di cosa stai parlando) e che se non risparmiamo abbastanza comprano all'estero (anche questo si chiama mercato, lasciamo perdere).
E ce n'è anche per gli ex colleghi che non vendono l'azienda ed accettano le "aste" al ribasso dei clienti invece di fare cartello (infatti non si potrebbe fare, hai presente?) appellandosi alla qualità.
E alla fine, quando ormai disperavo, eccolo lì che racconta dei cinesi di Prato, nei capannoni dismessi da quelli che, come lui, non hanno più voluto fare gli imprenditori (un altro lavoro che gli italiani non vogliono più fare?), che ci lavorano, ci mangiano e ci dormono: insomma, i cinesi sono gli italiani del nuovo millennio, e forse per questo non li detesta tanto.
Ultima notazione: dice che gli imprenditori di Prato - almeno quelli rimasti - sono dei vecchi liberali: non lui, perché si scaglia contro l'apertura dei mercati ed invoca tariffe e vincoli doganali. Non ci sono più i liberali di una volta.
No, non vi racconto come va a finire, io me lo sono cuccato fino in fondo e adesso tocca a voi.

giovedì 18 agosto 2011

Com'è profondo il mar


Diciamo che ho letto Moby Dick: piaciuta la citazione?
Il romanzo americano per antonomasia, a quanto pare, e mi sono perso nel gioco di racconti e divagazioni (mi è parso di trovare anche una citazione del Manoscritto di Saragozza, letto tanto tempo fa e che dovrei riprendere e capire). Mi chiedo quale possa essere la chiave di lettura giusta, quando arrivo alle ultime righe, con la voce narrante che racconta come fu salvato dalla "Rachele", la baleniera che cercava l'equipaggio di una lancia perduta, e non mi rispondo.
Ovviamente la caccia alla balena è la metafora di qualcosa, così come l'ossessione del capitano Achab lo è di qualche altra, così come la finta erudizione delle descrizioni dei cetacei rimanda a qualche cosa ancora - forse i ponderosi tomi del diciannovesimo secolo?
In ogni caso, lettura godibilissima; una cosa comunque mi è sembrato di capire, e che il Pequod è una metafora della nascente America che ancora cercava un posto nel mondo, con il suo equipaggio multietnico arrivato da chissà dove. Tra l'altro, ho verificato che Presidente ddegli Stati Uniti, all'epoca in cui Melville scriveva, erano (almeno per me) degli illustri sconosciuti: James Knox Polk (1845-1849), Zachary Taylor (1849-1850) e Millard Fillmore (1850-1853).
Chissà chi di loro, se la mia lettura è giusta, stava portando il Paese alla rovina.

mercoledì 10 agosto 2011

Durissima cocta


Vive in una specie di topaia al sesto piano senza acqua corrente, ama la figlia di un senatore e si muove nella Roma dei Flavi sulle tracce di adulteri o di figlie scappate di casa, affrontando gladiatori e lancieri traci a mani nude (e prendendole sempre), il tutto per qualche sesterzio al giorno più le spese.
E' un Philip Marlowe del finire del primo secolo dell'era volgare, e si chiama Marco Didio Falco, creato da Lindsey Davis, scrittrice inglese che nell'antica Roma ha trovato l'America. Unica concessione al familismo romano, Falco, al contrario dei suoi epigoni sulla Costa Occidentale, ha una famiglia ampia ed in buona parte invadente, a cominciare dalla madre.
In questo romanzo è anche presente il padre che molto modernamente era scappato di casa con una ragazza dai capelli rossi, ed il fantasma del fratello, caduto da eroe durante la guerra giudaica; per seguire il libro, comunque, non c'è bisogno di rileggersi Flavio Giuseppe, visto che si tratta di trovare una statua greca la cui vendita avrebbe consentito all'eroe ed ai suoi colleghi legionari di arricchirsi.
Come in tutti gli scrittori di scuola anglosassone, impeccabile ricostruzione storica e d'ambiente, per quel che posso giudicare, ottima padronanza del mestiere - Falco si racconta in prima persona e sembra davvero, qualche volta, di sentire Sam Spade - ed interessante l'assunto di partenza, ovvero del cittadino libero, di fede repubblicana, che deve mettere insieme quattrocentomila sesterzi per diventare cavaliere (no, i cavalli non costano così tanto) per poter sposare la sua amata, di classe sociale tanto più elevata della sua.
Tra la Città Eterna, le altre località italiche e puntate anche nelle propaggini più sperdute dell'Impero, le storie, e sono tante, scorrono veloci e gradevoli.
Buon divertimento.

sabato 6 agosto 2011

Il battito delle ali


Allora: vampiri, animali mannari (lupi e non solo), mostri di ogni genere, ed una ragazza che per sua ammissione porta la 44 ed è alta più o meno un metro e mezzo, ammazza i vampiri ed ha un rapporto complicato con un vampiro ed un lupo mannaro: non riesco ad immeginare la sua pagina facebook.
Insomma, ho letto uno dei libri del ciclo di Anita Blake, la sterminatrice, che è andata via dal Midwest e si trova nel Nuovo Messico, alle prese con i miti aztechi (anche se si dovrebbe dire mexica) ed altri avversari in carne ed ossa, che fanno comunque la stessa brutta fine.
Attenzione, se il sangue vi disturba lasciate perdere, anche perrché la farfalla del titolo è Itzpapalotl (mi pare si scriva così), ovvero Farfalla di Ossidiana. Molto poetico, ma è il nome della dea mexica che personificava il coltello con il quale i sacerdoti mesoamericani sventravano le vittime per offrirne il cuore alle divinità del loro Pantheon.
La signora Hamilton scrive quasi più in fretta di quanto io riesca a leggere, per la verità, e man mano che va avanti piazza nuove trappole per il lettore: qui c'è una scena di sesso omosessuale maschile non consenziente esplicito, ma siccome si tratta di vampiri c'è anche molto sangue che scorre - sì, proprio da lì, deve fare male; scorrendo in libreria l'ultimo, ho trovato ancora qualche ulteriore passo avanti.
E poi c'è la violenza, visto che la signorina va in giro con un arsenale che neanche un assaltatore della Col Moschin, e lo sa usare, e si circonda di colleghi molto poco raccomandabili.
Insomma, rischia di prendervi, quindi andate in libreria con una testa d'aglio in tasca.

Coriolano della Floresta - Luigi Natoli

Ho terminato la lettura di Coriolano della Floresta proprio ieri sera. Più di mille pagine in cui si racconta il seguito de I Beati Paoli attraverso le vicissitudini degli eredi di Blasco, diventato Duca della Motta, e di Coriolano della Floresta, che assume lo pseudonimo di Fra' Benedetto. Le vicende sono avvincenti e la trama è molto bella, forse più dei Beati Paoli. Peccato che, anche in questo caso, Natoli si dilunghi troppo in descrizioni di personaggi poco influenti e in ripetizioni, quasi ossessive, degli stati d'animo dei personaggi principali. Il meno simpatico: Blasco Oxorio, nipote di Blasco della Motta e malvagio come il suo avo Don Raimondo, il quale porterà fino alle fine dei suoi giorni i segni indelebili della sua cattiveria. I personaggi più simpatici: la piccola Virginia, pronipote di Coriolano e Blasco della Motta. Commovente la descrizione della morte di Fra' Benedetto.

martedì 2 agosto 2011

In buona compagnia


Mai letto "I Tre Moschettieri" da ragazzo, mi sono rifatto da grande, e li ho amati fin dalle prime righe di una vecchia traduzione che in qualche modo rispetta - almeno credo - lo stile di Dumas.
Tra l'altro mi risulta che un nugolo di insospettabili intellettuali (tra cui anche Umberto Eco e Arturo Perez Reverte) abbia fondato un cenacolo di lettura, rilettura e drammatizzazione delle avventure dei quattro amici dei tempi di Luigi XIII e del cardinale Richelieu.
Sembra un mattone, ma scorre veloce, a mezzo tra romanzo di formazione e storia picaresca, nonostante il gran spreco di cappe (e spade), mantelle e simili accessori.
Alcune pagine sono veramente raffinate, come le avventure di Milady imprigionata dal cognato e liberata da un cretino, anche se al nostro gusto moderno (e anche per le richieste di editori e produttori) la fine del male incarnato nella persona di Anna di Breuil - Lady Clarick non va proprio giù, visto che il male è ben lungi dall'essere stato cacciato dalla faccia della terra.
Aggiungerei, per concludere, che c'è anche più sesso di quello che si potrebbe immaginare, e la notte dell'inganno che Milady passa con D'Artagnan credendolo il conte di Wardes arriva direttamente dal Boccaccio (che dire, poi, dei tormenti della camerierina che dietro la porta ascolta le effusioni della coppia e muore di gelosia?) e ricorda il dialogo fra Nino Manfredi e Claudia Cardinale ne "Nell'anno del Signore", quando lui chiede a lei se era molto buio quando si è sbagliata.

giovedì 28 luglio 2011

I lunghi singhiozzi dei violini d'autunno

Ancora una storia identitaria per Ken Follett, lungo i miti della seconda guerra mondiale ed alla vigilia dello sbarco in Normandia.
Il commando di sole donne è ovviamente una scusa per raccontare la donna che le guida, Felicity "Flick" Clairet, un'altra delle figure femminili dominanti che si rincorrono nei suoi libri (ricordate Aliena ne "I Pilastri della Terra"?) e mostrare quanto bene maneggi la storia recente. E le figure femminili le sa raccontare molto bene, nella letteratura popolare contemporanea è certamente ai livelli più alti.
Bellissime le descrizioni della Francia occupata e dell'Inghilterra un po' consunta al quinto anno di guerra, un po' meno credibili gli intermezzi erotici, niente male l'antagonista, l'ufficiale tedesco del controspionaggio raffinato ed edonista che pensa prima di torturare ma finisce in un contrappasso sin troppo dantesco. Assolutamente ridicolo, invece, il deuteragonista, ovvero l'ufficiale di collegamento di Eisenhower che si innamora della protagonista.
In conclusione, una breve citazione lascia pensare che una specie di "Flick" sia veramente esistita: Ken Follet ha anche moltissimi amici nei servizi inglesi, lo sappiamo.

lunedì 18 luglio 2011

James Herriot - Storie di gatti


Letto tutto d'un fiato durante una calda notte di luglio. Bellissimo, emozionante, commovente, divertente. Un libro per tutte le età.

Azzurro è il più crudele dei colori


Scrittore da premio Strega e Campiello, Giovanni Arpino si inventò anche giornalista sportivo, scrivendo per la Stampa e per il Giornale quando c'era ancora Montanelli.
Da giornalista sportivo seguì la sciagurata avventura della nazionale italiana ai Campionati Mondiali di calcio del 1974 in Germania Ovest (sì, allora c'era ancora). Chi ha anta anni ricorda benissimo come andò a finire, chi è più giovane lo potrà scoprire leggendo Azzurro Tenebra, che è forse il più bel romanzo sul calcio che si possa scrivere, e senza parlare di 4 - 4 - 2 o catenaccio mette a nudo i meccanismi più intimi del mondo del pallone, che allora non aveva comunque ancora raggiunto la follia totalizzante dei giorni nostri.
D'altronde dall'autore di Un delitto d'onore e La suora giovane, e sceneggiatore di Profumo di donna non ci si aspetta di meno.
E poi è anche un romanzo sul giornalismo degli anni '70, e se l'avessi letto allora magari non mi sarebbe venuta voglia di fare quel mestiere e mi sarei risparmiato un sacco di delusioni.

domenica 17 luglio 2011

I Beati Paoli - Luigi Natoli

Il romanzo con il numero più elevato di pagine mai letto. Devo dire che, sebbene la prima parte sia fondamentale per la struttura stessa della storia, in alcuni casi, secondo il mio punto di vista, Natoli si è dilungato troppo con descrizioni di personaggi irrilevanti o di vicende storiche che, nonostante servano a collocare le vicende in un preciso periodo storico, mi hanno un po' annoiata. Ho iniziato ad apprezzare la storia dalle terza parte in poi ( il libro è suddiviso in quattro parti ) dove Natoli comincia a fare emergere i Beati Paoli come i veri protagonisti di tutto il romanzo e dove ho trovato maggiori colpi di scena. Il personaggio che mi è piaciuto meno non è Raimondo Albamonte ( che, seppur nella sua odiosa cattiveria, rimane coerente fino alla fine dei suoi giorni ) ma è sua moglie, donna Gabriella, che alterna momenti di dolcezza a momenti di vera, sadica follia. Un personaggio nel quale si concentrano la gelosia ossessiva, il disprezzo, la malvagità tutti elementi che rendono Gabriella un personaggio odioso. Il personaggio più affascinante è Coriolano della Floresta, colui che tiene le vere redini di tutto il romanzo.

venerdì 8 luglio 2011

Austin, abbiamo un problema



John Grisham ha un problema con gli Stati che ammazzano la gente (anche noi, se è per questo), e lo risolve scrivendo "Io confesso", un legal thriller che è un apologo contro la pena di morte. Purtroppo lo scrive secondo le sue capacità, quindi i caratteri sono tagliati con l'accetta e i buoni sono tutti buoni ed i cattivi sono tutti cattivi (ed anche un po' stronzi), dopo più o meno una cinquantina di pagine già si capisce come andrà a finire e la morale che se ne può trarre è decisamente scontata.
Sarebbe interessante la scelta del protagonista, che non è il solito avvocato - Don Chisciotte, ma un mite predicatore luterano, tirato nella vicenda per caso e per i capelli, ma proprio qui vengono fuori i limiti dello scrittore, che in fondo è la versione "laurea breve" di Scott Thurow: difficile credere che un signore, per quanto prete, possa nel ventunesimo secolo comportarsi come si comporta lui.
Leggere per credere: anche perché prendersela con i texani è comunque cosa buona e giusta, dal momento che per quanto si possa inventare, loro sono sempre più avanti. Infatti mentre scrivevo questo post si leggevano queste notizie, e mi è venuta voglia di cancellare tutto.

sabato 2 luglio 2011

Andare sul sicuro


Dopo l'esperimento scandinavo, un autore che non si sbaglia: Stephen King, The Dome.
Il terrorista di Bangor, Maine, dopo qualche libro più intimista, torna al vecchio amore, la descrizione di una piccola comunità - comunque un paio di migliaia di persone - immersa in un incubo, in questo caso una cupola (in inglese dome, appunto) che sigilla un paesino sperduto della Nuova Inghilterra: dove si dimostra, tra l'altro, che non ci sono meccanismi democratici perfetti, e che si riesce benissimo a mandarli in corto circuito trasformando Chester's Mills (che ha preso il posto di Castle Rock) dal sogno americano con casette a schiera, villette con giardino ed orto, grandi spazi e scuola superiore con annessa squadra di basket e di football in un incubo dittatoriale, dove il libito diventa lecito.
A me è sembrato, addirittura, un apologo degli otto anni di W. Bush, quando in nome dell'emergenza, così come ripetuto spesso dai protagonisti del libro, tutto si può fare. E se Stephen king si interessasse anche delle provincie dell'impero, poteva essere del pari un racconto dell'Italietta alle prese con islamisti in arrivo sui barconi ed influenza aviaria e H1N1: a proposito, conoscete qualcuno che se le sia prese?
I tantissimi personaggi agiscono come in una macchina perfettamente oliata (chissà se ci sono dei "negri" che lavorano per lui) e la conclusione è degna del miglior King: una vera boccata d'ossigeno, adesso sono pronto a fare qualche esperimento, magari sui vampiri ed affini che, altra maledizione epocale - infestano i banchi delle nostre librerie: dovrò andare da Feltrinelli senza la consueta testa d'aglio in tasca.

lunedì 27 giugno 2011

Posso smettere quando voglio


Posso smettere quando voglio di leggere gialli scandinavi. Mi auguro che Stig Larsson stia spalando carbone nelle caldaie di Satanasso per aver dato la stura ad una pletora di giallisti dai nomi impronunciabili i cui eroi si spostano in volvo in mezzo alla neve in posti sconosciuti alla caccia di criminali un po' così.
E quindi leggo anche Il Leopardo di Jo Nesbo (sì, lo so che non si scrive così, ma dove la trovo la "o" sbarrata? E qualcuno è in grado di spiegarmi come di pronuncia?), convinto che sia una bufala, come la detective omosex di Annie Holt solo chiacchiere e distintivo, e invece...
E invece qui il meccanismo del thriller funziona, come funziona il contorno, tipo la collega un po' troia che sembra voglia il protagonista e invece si tromba l'antagonista e questa Norvegia passata da provincia sottosviluppata della Scandinavia a potenza petrolifera ed in cui per legge, se ho capito bene, si danno tutti del tu, tranne forse che con il re.
Insomma, i colpi di scena ci sono, il cattivo è glocal - potrebbe essere tranquillamente del midwest americano o cingalese - e viene inseguito per mezzo mondo, ed il buono è sufficientemente tormentato da essere interessante.
Ma forse per ognuno di questi scrittori esiste il libro da leggere e quello da buttare nel cassonetto, e per esserne certo ne leggerò ancora altri: tanto posso smettere quando voglio.

domenica 26 giugno 2011

Gatti molto speciali - Doris Lessing


Letto in poco meno di due giorni. Forse nutrivo troppe aspettative: credevo che mi rivelasse qualcosa di arcano e di straordinario sui gatti, qualcosa che io non avessi già visto sui miei felini. L'ho trovato scontato, ripetitivo, impersonale ( spesso l'autrice parla dei suoi gatti non chiamandoli con i propri nomi ma distinguendoli dal colore del mantello ) e, a volte, cruento quando narra della soppressione dei cuccioli ( con il fine di controllare le nascite ) preferendola alla sterilizzazione considerata crudele e "non naturale" dall'autrice.

martedì 21 giugno 2011

La vecchia dell'aceto - Luigi Natoli

Incuriosita da un programma televisivo trasmesso da una rete locale, ho comprato questo libro ambientato nella Palermo, la mia città, del fine '700. E' un intreccio di realtà e fantasia: la storia vera di Giovanna Bonanno nota come za' Anna ( zia Anna ) o, ancora di più, come vecchia dell'aceto, una levatrice che, caduta in disgrazia, decide di procurare, dietro compenso in denaro, un veleno inodore e insapore a chi voglia sbarazzarsi di mariti traditori, violenti, amanti pericolosi, nemici. La storia di zà Anna si intreccia con la storia dei vari personaggi che ruotano intorno al romanzo. I capitoli sono ben collegati tra loro, la narrazione è interessante, intrigante. La descrizione dei luoghi della Palermo antica è dettagliata e spesso mi consente di riconoscerli in quanto luoghi tutt'oggi esistenti. Lo consiglio.

lunedì 20 giugno 2011

Quando ti suggeriscono un libro


E chi te lo suggerisce è tua figlia di sedici anni. Mica male. Il libro è "La chioma di Berenice" di Denis Guedj, e direi che vale la pena.
Con la scusa del racconto di viaggio, prima ci mostra Alessandria di Egitto dei Tolomei, nel terzo secolo prima dell'era volgare, poi ci accompagna in una crociera sul Nilo (con scopi scientifici, per la verità) e questa diventa la parte più interessante: gli egiziani, occupati, spiegano il loro Paese ad un greco occupante, mostrandogli le attività quotidiane, la natura e raccontandogli i propri miti.
Considerato che l'A. è nato in Algeria, sono malizioso se dico che c'è qualcosa di più di una metafora?
Interessante quella che i retori greci chiamavano etopoia: vediamo non attraverso gli occhi di un disincantato cittadino del terzo millennio, ma attraverso quelli di un partecipe greco colto dell'epoca. Possiamo quindi scusare alcune caratteristiche troppo didascaliche ed in qualche modo scontate, come la storia di Alessandro figlio di Filippo (proprio il grande Alessandro) che pone il proprio mantello macedone in terra per disegnare la pianta della città che, sul delta del Nilo, porterà il suo nome.
Ah, la chioma di Berenice è proprio quella che abbiamo studiato a scuola, la leggenda della costellazione: e qui conosciamo la regina che di quella chioma si privò.


101 modi per liberarti dagli stronzi e trovare soddisfazione nel lavoro - Luca Stanchieri

Ho finito di leggere proprio un paio di giorni fa questo libro che racchiude in sé, contemporaneamente, drammaticità, divertimento, spunti per riflettere. L'autore, lo psicologo professionista Luca Stanchieri, mette in risalto, attraverso i racconti e le richieste di aiuto ricevute da comuni impiegati, la figura dello SI: lo Stronzo Infinito, una figura che circonda tutti noi, soprattutto nel mondo del lavoro, rendendoci la vita un vero inferno. Egli è l'essenza della stronzaggine per antonomasia, è l'essere il cui appellativo ( "stronzo" per l'appunto ) "non deriva da strong (...). E' un vocabolo tipicamente italiano che attraversa vari dialetti, mantenendo la stessa radice. In Piemonte è stronz, in Sardegna struntzu, in Lombardia strons, in Trentino stronz, in Emilia strounz, in Campania strunzo, in Puglia strunze, in Sicilia strunzu. Insomma, il termine era riconoscibile anche prima dell'Unità di Italia in ogni paese della penisola. (...) è un'ingiuria diretta a una persona inetta, ignorante, arrogante, pretenziosa e cattiva" ( Cit. ).
Il libro affronta anche il tema drammatico del mobbing alternando descrizioni spesso divertenti delle varie tipologie di stronzo in cui giornalmente ci imbattiamo: lo stronzo capo, che usa il bluff della valutazione di rendimento e dell'indice di controllo; lo stronzo collaboratore, che spesso è il primo ammiratore del capo stronzo; lo stronzo collega, che si scompone in tanti "piccoli" stronzi quali il sofferente, il manipolatore, lo stressato, il trasformista, il diffidente, il morto di fame; le aziende stronze ( in quanto formate da stronzi ), paranoiche, isteriche, orientate al cliente e tutte con un'unica mission... "prendere per il culo le persone che lavorano per loro" ( Cit. )...
Il libro contiene dei suggerimenti su come "distrarsi" dagli SI non solo quando si è immersi nel proprio mondo lavorativo, ma anche quando si è al di fuori di esso. Inoltre, le ultime pagine sono dedicate a tutti coloro che rappresentano "l'altra faccia del lavoro e di chi lavora. (...) Migliaia di giovani che cercano di darci una mano nei call center, fanno tutto il possibile per risolvere i nostri problemi, e spesso sono gentili e preparati. (...) Negli ospedali, riusciamo a incontrare parole semplici e amorevoli, che seppure non richieste, sono preziose per la cura e la possibile guarigione" ( Cit. ).

Durante la lettura del libro, nel quale mi sono immersa appieno riconoscendo tutti coloro con i quali lavoro, ho temuto una forte delusione sul finale. Il libro è incentrato, per un buon 80%, su quanto il mondo lavorativo sia pieno di SI e, più si avvicinava la fine del libro, più tutto sembrava voler puntare il dito su terzi a tutti i costi. Per la serie "se la mia vita lavorativa è uno schifo è colpa degli stronzi che mi circondano!".
Devo dire che l'autore non mi ha per niente delusa perché se è vero che le aziende sono piene di stronzi, è anche vero che... "Ognuno di noi ha dentro un SI. Siamo tutti SI ( ... ) ma a differenza della maggior parte dei SI descritti, coloro che individuano il proprio SI interno possono fronteggiarlo e superarlo." ( Cit. )
E' un libro che consiglio a tutti.

Igiene Bestiale - Giovanni Ballarini

Igiene Bestiale è un vademecum di 145 pagine che, volendo, può esser letto tutto d'un fiato. Il libro è rivolto a chi possiede animali domestici ( o a chi desidera possederne ) ed è incentrato sul concetto di igiene. L'igiene è la strategia per prevenire le zoonosi ( quelle patologie, cioè, che gli animali possono trasmettere all'uomo ), le malattie che l'uomo può trasmettere al proprio animale domestico, gli avvelenamenti da cibo, chimici e da piante d' appartamento e non. Il manuale, come l'autore stesso tiene a precisare, non intende sostituirsi al veterinario, ma vuole "integrarne l'attività". Lo stile è fruibile a tutti ed è molto semplice nel linguaggio. Ho trovato molto interessante la sezione "Igiene urbana" dove viene sottolineata l'importanza di ripulire le strade dalle deiezioni dei nostri animali, non solo per un mero atto di civiltà, ma anche perché esse possono contenere batteri dannosi o uova di parassiti che il malcapitato calpestatore porterà inevitabilmente in giro... Soprattutto in casa sua.