venerdì 30 dicembre 2011

Per tutte le stagioni


Non amo i racconti, per la verità, ma non riesco a stare troppo tempo senza di Lui.  E quindi, dopo averci pensato un po’ su, l’avevo poi comprato, questo Stephen King, quattro racconti di cui i primi due veramente lunghi, quasi romanzi brevi, con la caratteristica di dare ampio spazio alle figure femminili, protagoniste e vittime, a volte contemporaneamente. 
Oltre a questo, e come al solito, King scava benissimo nei nostri tabù, ma siccome sono storie “de paura” mi guardo bene dal raccontarvi qualcosa di più, a parte l'invito a leggerlo, se non l'avete già fatto.  Con un suggerimento: cominciate dall'ultimo, e poi proseguite a ritroso, visto che il primo ed il secondo sono indubbiamente i migliori. 
Ovviamente resta solo poco da dire, anzi molto: grande lettura, grandi storie, grande ritmo, e qualche autocitazione: kinghiani, cosa vi dice Hemingford Home, Nebraska?

martedì 27 dicembre 2011

Anche gli angeli mangiano cannoli

E' un altro Camilleri senza.  Posso dirlo? Da qualche tempo a questa parte, Camilleri senza Montalbano è addirittura meglio, forse il commissario impersonato da Luca Zingaretti è arrivato in fondo alla sua parabola, forse il Maestro si è stancato di scrivere gialli senza sangue, o forse, ancora, la ricerca delle radici in una Sicilia passata (inizio del secolo scorso) che non passa mai lo stimola senza di più.
Voglio dire, qui ci sono i preti non proprio raccomandabili, i nobili ed i borghesi che seguono il vento meglio che in Coppa America, un ufficiale dei Carabinieri che assomiglia tanto a Carlo Alberto Dalla Chiesa (ma finisce meglio, non vi preoccupate) e, ovviamente, la mafia.
E c'è un giornalista che, non fosse perché adesso è su tutti i giornali, ricorda un po' Giorgio Bocca.
No, non vi racconto la storia, anche perché la rovinerei, e comunque non vi preoccupate anche se siete nordici: il siciliano scritto è comprensibilissimo, ormai dovreste averci fatto l'abitudine.
Una buona notizia, per concludere: per la Befana aspettiamo una nuova raccolta di racconti, ed a primavera un nuovo romanzo.  Hasta Camilleri siempre.

domenica 18 dicembre 2011

Vai all'est, giovanotto


Gli inglesi di una volta studiavano latino e greco ancora più degli italiani e no, non chiedetemi come li pronunciassero, preferisco non pensarci.
Robert Graves era appunto un inglese di una volta, insomma un vittoriano o un edoardiano (visto che era nato del 1895), e aveva la materia sulla punta delle dita: accanto ai testi per dir così tecnici,  poi, si divertiva a scrivere solidissimi romanzi storici, che dai saggi differivano solo per l'aggiunta dei dialoghi, mentre le vicende raccontate erano tutte perfettamente vere; qualcuno avrà letto i due libri sull'imperatore Claudio, magari, che rimangono affascinanti.
Qui compie un ulteriore passo indietro lungo il tempo e ci porta nella Grecia della generazione antecedente alla guerra di Troia per raccontarci l'avventura degli Argonauti alla caccia del Vello d'Oro e con l'occasione rende anche giustizia agli abitanti di quella terra che subirono l'invasione degli Achei, immergendoci nella società mediterranea della prima età del bronzo, che era matriarcale come le statuette delle Madri mediterranee in qualche modo lasciano sospettare: questo link che vi ho proposto è pieno di dubbi, ma non credo che gli archeologi si aspettino di poter intervistare una qualche sacerdotessa del culto.
La storia del Vello d'Oro è anche la storia di un amore un po' così, tra l'altro, quello di Giasone e Medea, e di una società in cui tutti credono in tanti dei e, in fondo, non sono rose e fiori: anche allora la religione era un instrumentum regni, soltanto che l'intervento delle varie divinità era molto più penetrante e aggiungerei anche più efficace.
Nonostante il tempo trascorso (dalla pubblicazione del libro, non dall'avventura degli Argonauti, cosa avete capito), direi che si legge molto bene: la mia traduzione fa un po' il verso a quello che poteva essere un  periodare arcaico, e neanche questo guasta.


mercoledì 14 dicembre 2011

Like a BRIC in the wall

D'accordo, è un saggio e non un romanzo, ma si legge scorrevolmente.  Stephen Armstrong è un giornalista britannico (e che altro?),  e comincia con il raccontarci degli oligarchi russi, certamente i più spettacolari, poi degli industriali indiani venuti dritti dalla decolonizzazione a ricomprarsi l'industria inglese, dei nuovi miliardari cinesi, certamente i capitalisti più inquietanti ed infine dei rampanti brasiliani.
Sono i padroni dei BRIC, l'acronimo creato da qualche economista di talento per indicare le potenze emergenti del nuovo millennio, dove c'è un profondo deficit di democrazia e di equilibrio nella ripartizione delle risorse, ma non di soldi.
E noi dell'Occidente evoluto? Bene, non è il caso di essere troppo tranquilli, non solo perché i russi ci vendono il gas per scaldarci, gli indiani si comprano le industrie pesanti in giro per il mondo ed i cinesi a furia di venderci magliette e di costruire telefonini e computer su licenza hanno fatto tanti soldi da essere i primi creditori degli USA; non è il caso visto che anche nelle più antiche e solide democrazie occidentali si preannuncia un deficit di democrazia, semplicemente perché anche qui da noi c'è un complesso imprenditoriale e finanziario così ricco ed influente da essersi, di fatto, sostituito ai governi, con la scusa della crisi economica.
Il signor Armstrong considera l'Italia giustamente irrilevante, quindi tace del corto circuito tra soldi e politica che noi sperimentiamo da venti anni: britannici e statunitensi non sanno a xcosa vanno incontro, noi italiani ce ne siamo fatti un'idea.    

domenica 4 dicembre 2011

Tradirsi un po'

Quando gli scrittori inglesi si cimentano con la grande epopea della Seconda Guerra Mondiale, sconfitta trionfale per il loro Paese che vinse la guerra e perse la pace, cioè l'Impero, possono scrivere cose meravigliose o orribili, e non conta quanto siano bravi.
Ve ne avevo già parlato qui, ricordate?
Robert Harris è bravo ed era molto atteso: Enigma è stata la sua opera seconda, e secondo me non ha deluso, perché sullo sfondo di una puntigliosa ricostruzione storica e della grande tragedia collettiva mette in scena la tragedia individuale dello scienziato più che pazzo fragile, certamente non pronto ad affrontare le tensioni private come sopporta invece le difficoltà pubbliche, tipo l'arrosto di balena servito alla mensa.
Bella quindi l'Inghilterra al quarto inverno di guerra, buia, affamata, infreddolita e sporca (fatevi raccontare dai genitori o dai nonni com'era l'Italia a quei tempi, per favore) a confronto con i ricchi cugini Yankee che hanno tutto ma devono fare attraversare a questo "tutto", che vuol dire benzina, bistecche, latte in polvere e carri armati, l'Atlantico settentrionale tra maltempo e sommergibili tedeschi, e bello il tormento d'amore di un uomo che non era pronto ad innamorarsi.
E dietro tutto questo un complicato intrigo di spionaggio che porta all'Europa orientale.