giovedì 20 ottobre 2011

Essere o non essere comunisti?

Conosciamo Arkady Renko, investigatore della polizia di Mosca, da prima che cadessero il Muro ed il comunismo, e come era a disagio all'epoca di Andropov e di Cernenko è ancora a disagio con la demokratura di Putin.
In una Mosca allucinata, tra oligarchi, criminali ripuliti e veterani delle guerre in Cecenia, continua a non riuscire ad andare d'accordo con i pubblici ministeri ed a tenersi una donna; si fa anche sparare in fronte e ne esce vivo, forse a dimostrazione che in un poliziotto degno di questo nome la testa è decisamente la parte più dura del corpo, e partecipa ad uno strano rito in una città di provincia, lì dove all'inizio dell'inverno del 1941 l'Armata Rossa fermò l'avanzata tedesca.
Tutto perché Stalin, proprio il piccolo Padre, in fondo sempre al centro dei pensieri dei russi , forse compare, o forse no, sulla banchina di una stazione del metrò di Mosca dal nome impronunciabile.
In realtà, come in tutte le sue avventure, più che la preda conta la caccia: in realtà qui non si capisce neanche bene quale sia il crimine da cui tutto parte, ma si vedono bene tutti gli altri.  Cosa ancora più importante, qui vengono fuori anche gli antefatti che spiegano l'irrisolto rapporto con il padre, generale, eroe e macellaio all'ingrosso durante la Grande Guerra Patriottica, e amico di Stalin.
Sì, ancora, si ritorna sempre lì: ma questo libro vale proprio la pena di leggerlo.

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