martedì 22 novembre 2011

La piccola guerra

Dopo Caporetto scapparono anche i civili della pianura veneta, non solo i soldati.  Non tutti, alcuni restarono a casa e si trovare austriaci e prussiani in casa (sì, c'erano anche i prussiani, a cominciare da un certo Rommel, che all'epoca maturò la sua disistima per gli italiani). Proprio lì, a sud del Grappa e ad est del Piave è ambientato un romanzo di formazione piuttosto particolare.
Ha vinto un Campiello Andrea Molesini, con "Non tutti i bastardi sono di Vienna", educazione politica, militare e sentimentale di un diciottenne (o quasi) nel freddissimo inverno 1917/'18, tra occupanti  rigorosamente divisi  per censo con ufficiali austriaci e tedeschi che sono citazioni dei nobili educati, poliglotti  e cattivissimi dei film sulla Grande Guerra e soldati che arrivavano dai quattro angoli della Duplice Monarchia, contadini per i quali un padrone ne vale un altro ma anche no, il parroco che fornisce anche, con una sua battuta, il titolo del libro, la sua famiglia ricca e la pletora di domestici e l'immancabile parente un po' strana che guida l'eroe anche nei meandri del sesso adolescenziale.
Altra citazione, dal Vercors questa volta, per la reazione della padrona di casa, ed anche qualcosa da "La grande illusione" (avevamo parlato degli ufficiali austriaci, più o meno nobili).
Buono, si legge d'un fiato o quasi, visto che c'è anche la necessaria parte di tensione, ma ad un certo punto sembra che si infili in un vicolo cieco e infatti deve risolversi con un finale poco credibile.  
Insomma, sono ragazzi e devono ancora imparare il mestiere, ma decisamente si impegna.

domenica 20 novembre 2011

November morning

Finalmente è arrivato, dopo la dose di metadone costituita da quattro racconti lunghi pubblicati l'anno scorso: è il nuovo Stephen King, molto ma molto ambizioso. Quasi una ucronia, ovvero l'uomo che scopre il modo di andare nel passato e salvare Kennedy, quel mattino di novembre a Dallas.
King ama gli anni '50 e '60 come si vivevano negli USA, e da bravo raccontatore di storie pesca nel suo archivio e richiama alle armi il "Club dei Perdenti" di It, per una comparsata di Beverly Marsh e di Richie Tozier, oltre ad un cameo del perfido signor Keene, il farmacista di Derry (ricordate l'inalatore di Eddie Kapsbrak?).
L'attentato è avvenuto-dovrà avvenire-avverrà (insomma, dentro libri così i tempi dei verbi sono una scommessa) a Dallas, quindi dopo un po' basta con il nord est, ed avanti con il Texas di cinquant'anni fa: non sono abbastanza ferrato in storia americana contemporanea, e non posso dare un giudizio sull'accuratezza della ricostruzione, che è comunque affascinante.
Poi, naturalmente c'è la storia, che è una storia alla King, con i suoi momenti di paura ed i colpi di scena; chi  apprezza il genere (quorum ego) non può mancare all'appuntamento.
Ovviamente, come dice il nostro, da leggere di notte, al buio.

venerdì 4 novembre 2011

Un metodo pericoloso


Gianrico Carofiglio era stufo dell'avvocato pugliese che difende gli innocenti ma anche i colpevoli, ma Elvira Sellerio lo aveva convinto a continuare.
Adesso Elvira non c'è più ed ecco un altro motivo per sentirne la mancanza, visto che Carofiglio ha cambiato editore ed ha cambiato genere: ci racconta del carabiniere in crisi esistenziale che a furia di correre dietro ai delinquenti è andato fuori di zucca, è stato collocato in malattia e va dallo strizzacervelli, uno bravo visto che è capace di trovare qualcosa da strizzare nella testa di un caramba.
Un giorno di pioggia incontra per caso un'altra paziente dello stesso strizzacervelli, quasi se ne innamora ma siccome è fuori non capisce neanche bene se se ne innamora proprio o cosa, e poi ...
No, non ve lo racconto, leggetevi questa porcheria se volete sapere come va a finire, io intanto sul pugliese più famoso dopo Cassano (ma prima di Vendola) ci faccio una bella croce.

giovedì 20 ottobre 2011

Essere o non essere comunisti?

Conosciamo Arkady Renko, investigatore della polizia di Mosca, da prima che cadessero il Muro ed il comunismo, e come era a disagio all'epoca di Andropov e di Cernenko è ancora a disagio con la demokratura di Putin.
In una Mosca allucinata, tra oligarchi, criminali ripuliti e veterani delle guerre in Cecenia, continua a non riuscire ad andare d'accordo con i pubblici ministeri ed a tenersi una donna; si fa anche sparare in fronte e ne esce vivo, forse a dimostrazione che in un poliziotto degno di questo nome la testa è decisamente la parte più dura del corpo, e partecipa ad uno strano rito in una città di provincia, lì dove all'inizio dell'inverno del 1941 l'Armata Rossa fermò l'avanzata tedesca.
Tutto perché Stalin, proprio il piccolo Padre, in fondo sempre al centro dei pensieri dei russi , forse compare, o forse no, sulla banchina di una stazione del metrò di Mosca dal nome impronunciabile.
In realtà, come in tutte le sue avventure, più che la preda conta la caccia: in realtà qui non si capisce neanche bene quale sia il crimine da cui tutto parte, ma si vedono bene tutti gli altri.  Cosa ancora più importante, qui vengono fuori anche gli antefatti che spiegano l'irrisolto rapporto con il padre, generale, eroe e macellaio all'ingrosso durante la Grande Guerra Patriottica, e amico di Stalin.
Sì, ancora, si ritorna sempre lì: ma questo libro vale proprio la pena di leggerlo.

mercoledì 19 ottobre 2011

Novecento, atto II Bis


Insomma, chissà cosa mi aspettavo.  Valerio Massimo Manfredi ci ha spesso deliziati con le sue storie dell'epoca classica, dalla guerra di Troia a quella greco-persiana all'Anabasi rivista attraverso gli occhi di una contadina che diventa l'amante di Senofonte.
E adesso prova a raccontarci una saga contemporanea di una famiglia contadina tra Modena e Bologna: sì, esatto, sembra anche a me che una storia del genere ce la abbiano già raccontata.  Si va dalla vigilia della Grande Guerra alla fine della Seconda Guerra Mondiale, accompagnando tre generazioni di Bruni (quelli del titolo), mezzadri non proprio morti di fame ed anche abbastanza fortunati, visto che durante la Prima Guerra Mondiale non ne muore nessuno; l'otel, scritto proprio così, è la stalla annessa alla casa colonica che occupano sul terreno loro affidato dove fanno filò.
Più che con gli Austriaci hanno problemi - ovviamente - con il padrone e con i fascisti, e in questo sono abbastanza tradizionali e diversi dai mezzadri fascisti di Canale Mussolini: Manfredi non ha nessuna voglia di vincere un premio Strega, insomma.
Valerio, sient'ammè, ritorna a scrivere di Greci, Persiani e, magari, popoli preromani in Italia, ti riesce molto meglio.

sabato 8 ottobre 2011

Stat mercator pristinum nomen


A volte ritornano, e dopo trent'anni ritorna il nome della rosa, ma non parliamo della nuova edizione dell'opera prima letteraria di Umberto Eco, ma del Mercante di libri maledetti di Marcello Simoni.
C'è proprio tutto: l'ambientazione nel tredicesimo secolo (addirittura cento anni prima), le abbazie, le biblioteche, i messaggi segreti da decifrare, e c'è anche il giovane (ed un po' fesso) amico del protagonista; il giovanotto non si racconta in prima persona, il che sarebbe impossibile in una storia del genere.  A proposito di abbazie, si comincia proprio dalla Sagra di San Michele, sulla strada che da Torino porta alla Francia, che pare abbia ispirato il piemontese Eco nella ideazione della sua insanguinata abbazia, ed è un po' come mettere subito le carte in tavola.
Poi, sono passati trent'anni, quindi c'è molto più sangue, per adeguarsi alla nuova ondata di romanzi neri italini ed europei, e si rinuncia all'aristotelica unità di luogo, visto il dipanarsi della storia tra il Nord-est Italiano fino all'estremo Ovest dell'Europa che è Santiago di Compostella, per concludersi a Venezia nel più tradizionale dei modi possibili.
Poi si nota che alle spalle c'è un minor lavoro di ricerca: l'abate cattivo non può chiamarsi Rainerio da Fidenza perché all'epoca Fidenza non esisteva, esisteva Borgo San Donnino.  Questo lo so anch'io, e chissà che un vero medievista non trovi qualche altro svarione.

domenica 2 ottobre 2011

Donde trovasi Pineta?

Insomma, Franco Malvaldi è nato troppo tardi. Hanno già notato altri che i suoi romanzi sono una meravigliosa interpretazione della miglior commedia all'italiana, ma la sua penna al cinema non serve più, in questi tempi di cinepanettoni.
Allora ci racconta il barista laureato in matematica, il nonno ed i suoi amici ultrasettantenni, il commissario cretino con i poliziotti di provincia (qui c'è un piantone veneto palesemente ricalcato sul carabiniere Stelluti)  e l'universo infinitamente piccolo ed infinitamente grande del paesino toscano che, si suppone, vive di turismo estivo e poco altro.
E c'è non tanto il lavorìo deduttivo di Nero Wolfe o il lavoro di gambe di Montalbano, quanto il lampo di genio acceso da una coincidenza o da un particolare (il particolare è correttamente condiviso con il lettore, tra l'altro, come impogono le regole del giallo).
Insomma, non conta la preda, conta ancora meno la caccia, e invece contano le persone, con i tic e le piccole e grandi manie del protagonista che sembra non godersi pressoché nulla di quello che lo circonda. 
Va bene per una lettura piacevole e veloce, - a me ha tenuto compagnia durante un Firenze/Roma sul Frecciarossa - e non chiedete quello che non può dare.